L’articolo 2389 c. 3 c.c. recita: ‘La rimunerazione degli amministratori investiti di particolari cariche in conformità dello statuto è stabilita dal consiglio di amministrazione, sentito il parere del collegio sindacale. Se lo statuto lo prevede, l’assemblea puo’ determinare un importo complessivo per la remunerazione di tutti gli amministratori, inclusi quelli investiti di particolari cariche.’

La norma, dunque, si occupa di attribuire al c.d.a. il potere di determinare la remunerazione degli amministratori per le particolari cariche loro conferite. La remunerazione in parola risulta, quindi, aggiuntiva rispetto all’ordinario compenso spettante ai membri del consiglio di amministrazione ai sensi del comma 1 dell’art. 2389.

E’ evidente come l’operatività del comma 3 dipenda dalla puntuale perimetrazione del concetto di ‘particolari cariche’.

Rileva, a riguardo, la sentenza n° 11023/2000, recentemente citata nella sentenza n° 28148/2018, emanata dalla Corte di Cassazione, a mente della quale: ‘l’amministratore di società cui sia demandato lo svolgimento di attività estranee al rapporto di amministrazione ha per queste diritto (ai sensi dell’art. 2389 cod. civ.) ad una speciale remunerazione sempre che tali prestazioni siano effettuate in ragione di particolari cariche che allo stesso siano state conferite e che esulino dal normale rapporto di amministrazione, ossia dal potere di gestione della società, il cui limite deve individuarsi nell’oggetto sociale, talché rientrano tra le prestazioni tipiche dell’amministratore tutte quelle che siano inerenti all’esercizio dell’impresa, senza che rilevi (salvo che sia diversamente previsto dall’atto costitutivo o dallo statuto) la distinzione tra atti di amministrazione straordinaria ed ordinaria.’

La Suprema Corte ritiene che la remunerazione di cui al comma 3 dell’art. 2389 concerna lo svolgimento di attività estranee al regolare rapporto di amministrazione, il cui limite è da rinvenirsi nell’oggetto sociale, per cui sono da considerarsi non tipiche le prestazioni che non siano inerenti all’esercizio di impresa.

Ecco, dunque, che, per individuare l’ambito applicativo della norma in parola, divengono dirimenti i concetti di oggetto sociale e di esercizio di impresa. Se interpretati in senso stretto, porteranno a considerare estranei al regolare rapporto di amministrazione tutte quelle attività che non concernano direttamente e immediatamente l’attività produttiva a contenuto patrimoniale finalizzata alla produzione e allo scambio di beni o servizi. Di talché rientreranno nel concetto di ‘particolari cariche’ quelle attività che siano solamente strumentali o comunque riconducibili solo in via mediata all’attività produttiva.

Diversamente, ove si considerino i due concetti – oggetto sociale e prestazioni inerenti l’esercizio di impresa- in senso ampio, il novero di attività riconducibili al regolare rapporto di amministrazione si amplia fino a ricomprendere prestazioni che siano anche solo strumentali o riconducibili in via mediata all’attività di impresa.

Il rischio, insito in una tal operazione ermeneutica, è una riduzione dell’ambito applicativo del comma 3 sì consistente, da configurare una tendenziale interpretatio abrogans della norma, destinata ad applicarsi a casi affatto marginali.